lunedì 22 dicembre 2014

Uscire dall'ordinario. Ad ogni costo.

Nel corso dell'ultima riunione del gruppo lettura abbiamo parlato de "La camera azzurra" di George Simenon , un libro che viene considerato un gioiello nella produzione letteraria dello scrittore belga di lingua francese. Tutti i membri del gruppo hanno apprezzato la capacità di raccontare con alternanza di piani temporali , e di mantenere la tensione narrativa dall'inizio alla fine della vicenda. Non un lavoro semplice quando si tratta di una storia ordinaria come una passione travolgente tra un uomo e una donna, entrambi sposati. Tony e Andrée, persone dalla vita ordinaria, travolti dal loro stesso adulterio. Simenon  è maestro nel trasformare una storia così normale in qualcosa di inquietante e diabolico. Fa dei suoi personaggi degli sprovveduti, che pur di uscire dalla loro esistenza piatta, scelgono coscientemente di andare verso la rovina con le loro azioni. Proprio Tony, che vive con indifferenza e un po' di senso di colpa questo suo tradimento, sceglie comunque di andare avanti, di tessere la tela di una storia con Andrée, una donna che lo ha scelto fin dai tempi della scuola. Questo costerà all'uomo la discesa verso la rovina, e in particolare pagherà la sua ingenuità, il fatto di non aver dato peso alle parole della sua amante. Ma come spesso accade nei romanzi di Simenon, la vicenda è ordinaria, è una storia come tante, e poi invece lo scrittore ci apre una finestra sulla psicologia dei suoi personaggi. Uomini e donne che hanno non solo la voglia, ma la necessità di uscire dalla loro esistenza ordinaria. E lo fanno consapevolmente, inseguendo strade che li porteranno irrimediabilmente verso il disastro. Per questo motivo possiamo dire che Simenon porta la dimensione della tragedia ad abbassarsi alla piccola borghesia, alla realtà circoscritta della provincia, dove si trovano abitanti che potrebbero fare un passo indietro, ma scelgono di fare il salto e abbandonare lo scorrere ordinario del vivere. "La camera azzurra" è trasposizione letteraria della vita di Simenon, formidabile amatore che si vantava di aver avuto diecimila donne. Queste ultime saranno molto  spesso protagoniste nei suoi romanzi, talvolta avendo connotazioni diaboliche, proprio come Andrée. D'altronde il desiderio di Simenon era di indagare e avvicinare l'universo femminile (e in ciò era aiutato dalle sue innumerevoli relazioni amorose), ma anche l'animo umano tutto, per capire fin dove ci si può spingere per trasformarsi da piccoli in " grandi uomini".

venerdì 28 novembre 2014

L'amore bugiardo di Gillian Flynn



Probabilmente non conoscete “L’amore bugiardo”. E non lo conoscevo neanch’io finchè non ho visto il libro abbandonato sul divano da mia madre. Ed è stato uno dei libri che più mi hanno entusiasmato.
La storia può sembrare banale, il finale scontato, ma nessuno può immaginare la profonda e contorta psicologia che la Flynn attribuisce ai due personaggi principali, Nick e Amy, due scrittori di riviste, ormai senza lavoro, soppiantati dai computer, costretti a spostarsi dalla caotica New York in Missouri a causa dei problemi finanziari e della malattia della madre di lui. La vita aveva preso ormai una piega inaspettata e lontana da quella da loro sognata, il matrimonio aveva perso la scintilla che tempo prima li aveva uniti in una gelida notte a New York, finchè Nick, tornato dal bar in cui lavorava insieme alla sorella Go, non scopre la porta spalancata di casa sua e il salotto devastato, senza più alcuna traccia della moglie, sparita. Iniziano subito indagini e veglie, telefonate e apparizioni in programmi tv, mentre Nick versa in una situazione sempre più pericolosa e complicata, soprattutto dopo che vengono trovate tracce di una pozza di sangue in cucina, accuratamente pulita.
La vicenda è raccontata attraverso due diversi punti di vista, il diario di Amy, che dipinge i contrasti più feroci con Nick e le sue mancanze, i difetti che le aveva nascosto, la sua indifferenza verso di lei, e Nick stesso, che descrive i passaggi e gli sforzi compiuti per la ricerca di Amy.
Passo dopo passo, dubbio dopo dubbio, i sospetti ricadono sempre più su Nick, ma egli riesce improvvisamente a comprendere e a ritrovare, grazie ad una caccia al tesoro che Amy aveva preparato (e che da sempre preparava) per il loro anniversario, il vero carattere della moglie e il suo complesso e determinato ingegno.
E tutto gli fa pensare che Amy non sia morta né scomparsa. E tutto gli fa pensare che voglia vendicarsi su di lui, nel peggior modo possibile.

Bianca Maria Lapi    

Una questione privata di Beppe Fenoglio



Il romanzo si incentra sulla vicenda del partigiano Milton e della sua ricerca di Giorgio, suo commilitone e amico, nella zona di Alba (nelle Langhe), raccontata in prima persona con frequenti digressioni riguardanti i suoi ricordi o le sue impressioni.
Dopo aver scoperto una relazione tra Fulvia, una ragazza facoltosa di cui il protagonista si era innamorato, e Giorgio, Milton decide di partire alla ricerca di quest’ultimo al fine di chiedere chiarimenti sul fatto. I suoi spostamenti sono un pretesto per l’autore per descrivere varie situazioni legate al momento storico.
Nonostante l’importanza di quest’opera in quanto fra quelle fondatrici della letteratura della Resistenza, il suo valore effettivo è giudicabile decisamente inferiore, specialmente se messa a confronto con altri testi, meglio realizzati, sullo stesso argomento.
L’intero racconto tende a focalizzarsi eccessivamente su dettagli tendenzialmente insignificanti per la trama, caratteristica che penalizza le parti narrative facendo diminuire l’interesse e l’attenzione del lettore, il quale vede trasformate in delusione tutte le sue aspettative circa il finale, finale che è impropriamente chiamato così dal momento che è ambiguo e difficile da interpretarsi.

Marta Lo Faso e Edoardo Cipriani 


lunedì 24 novembre 2014

Ricordo di Romano Bilenchi

Romano Bilenchi moriva a Firenze il 18 novembre 1989, 25 anni fa appunto.
Da tempo ormai – non saprei dire da quanto – non tornava a Colle Val d'Elsa nè usciva, per la malattia, dalla sua casa, in via Brunetto Latini. Gli amici che lo andavano a trovare, per un saluto, una discussione o il piacere di stargli accanto, lo trovavano immancabilmente seduto in salotto, su un divano verde, circondato quasi con amore dai libri e dalle opere dei suoi amici pittori.
Il salotto era il suo microuniverso, riproduceva i segni di amicizie, affetti, relazioni forti e autentiche. Riproduceva materialmente un mondo lontano, capace di perdurare solo nella memoria.
Sul tavolino davanti a lui, altri libri, ma immancabilmente un portacenere stracolmo di mozziconi, e scatole di medicinali e le sigarette, che accendeva di continuo, con le dita ormai macchiate dal giallo della nicotina.
Bilenchi accoglieva nella sua casa amici, conoscenti, giovani, letterati e intellettuali, mostrando a tutti, senza distinzioni di sorta, senza spocchia o presunzione, la sua inesauribile disponibilità al dialogo. La sua gentilezza aveva il sapore semplice e antico di altri tempi.
Tra una sigaretta e l'altra, accendeva il televisore, azionava il telecomando spostandosi incessantemente da un canale all'altro, con un fare in apparenza distratto e svagato, che poteva anche mettere in imbarazzo; eppure, malgrado questo, sapeva  seguire con vivacità le pieghe della conversazione, anzi la orientava senza parere con osservazioni schiette e fulminee, con il racconto di episodi della sua vita, con un gusto sapiente nel tratteggiare e colorire personaggi e situazioni. E così lasciava senza parole chi gli stava accanto.
Bilenchi appariva, ma meglio dire era, un uomo profondamente buono e generoso con tutti, che non negava la sua disponibilità o la sua attenzione. Era anzi un uomo che regalava, quasi con noncuranza, testimonianze, uno spaccato sulla vita e le relazioni, insomma su un mondo, la Firenze degli anni '30 e oltre, lontano, che non esisteva più, nè nei suoi protagonisti, nè nello spirito, se non nella sua memoria.
Parlando e raccontando, tra una sigaretta e l'altra, Bilenchi ritornava sul passato, sul suo passato, con le luci e le ombre; con le parole non faceva che 'riscriverlo' e 'scavarlo', portando in superficie trame, sfumature, tracce sempre nuove e diverse.
Le sue sono parole – si è detto – che risuonano ossessivamente ripetitive, come in un bolero, ma, si sa, “le parole sono come pietre da tirare in uno specchio d'acqua per provocare cerchi concentrici sempre più ampi”: così diceva Bilenchi in una intervista del 1983.
Il gioco umile dei bambini di un tempo diventa così l'immagine viva e gioiosa per descrivere, per rappresentare quello, ben più complesso, intricato e difficile, da grandi, della scrittura.
Sarà banale, ma Bilenchi non poteva con altre parole descrivere meglio il lavorio di una vita, il fuoco che animava da sempre la sua scrittura e che ce la rende così particolare, così unica, ma anche così vicina.      
La scrittura di Romano Bilenchi torna ossessivamente ad esplorare il mondo lontano dell'infanzia, quella zona d'ombra che tutti attraversiamo, in cui l'essere è indefinito o in cerca di una sua identità; una zona dove le ferite, anche quelle occasionali, si incistano e rimangono indelebili, quasi marchi a fuoco nella carne. Ma anche dove le speranze e i sogni hanno la forza e la fissità luminosa  dell'indicibile.
Restiamo 'intrappolati', ma anche sedotti e affascinati, come gli innumerevoli personaggi, in un tempo che si ripete, che non porta mai a passare la soglia, visto che Bilenchi non fa che dilatare e sviluppare, con le sue parole, pulsioni, desideri, paure e dolori restando sempre al di qua. Noi come loro, in fondo.

Rileggere Bilenchi significa sempre compiere un esercizio di scavo nelle ferite e nell'ombra che stanno anche dentro di noi, senza la prospettiva di trovare facili consolazioni o soluzioni di comodo; anzi proprio quel leggero, inquietante, urticante disagio che proviamo e che ci rimane addosso è il segno della grandezza, è la forza autentica dell'opera letteraria. Quella che ce la fa amare incondizionatamente. 

Claudia Corti 

venerdì 21 novembre 2014

Dürrenmatt, il delitto e non solo

Mercoledì 19 novembre il gruppo di lettura si è riunito per parlare un po' dell'ultimo libro scelto, "Il giudice e il suo boia" di Friedrich Dürrenmatt. Un giallo breve, ma di sicuro impatto. Proprio su questo aspetto si sono soffermati alcuni lettori, e ne sono rimasti piacevolmente affascinati. Solitamente ci si aspetta un approccio diretto, se di giallo si tratta, mentre  in questo caso c'è la costruzione perfetta di una rete in cui l'assassino cadrà, ma solo alla fine, senza che si sveli mai, neanche in modo accennato, alla sua figura come tale.
Si viene accompagnati nella narrazione, mentre seguiamo l'indagine del vecchio e malato ispettore Bärlach e dell'agente Tschanz. La scrittura è misurata e rigorosa, e infatti qualche nostro lettore faceva  notare l'eleganza del tono, che ci fa comunque rimanere incollati al libro in attesa del finale a sorpresa. La conversazione sul libro di Dürrenmatt ci ha fatto riflettere su quanto oggi siamo pronti ad aspettarci un giallo dalla scrittura più forte e aggressiva, arricchito dai metodi di indagine propri dei nostri tempi. L'originalità de "Il giudice e il suo boia" è proprio questa: portarci  a scoprire il colpevole  con i metodi investigativi del 1948, e condurci con l'autore a delle riflessioni sul caso e sulla giustizia. Il primo governa  i destini di tutti noi, malgrado cerchiamo di mettere ordine nel caos  come fa l'ispettore Bärlach. Sulla seconda è sempre il protagonista che  ci fa  riflettere, chiedendosi se sia giusto incolpare qualcuno innocente oggi, per un delitto commesso molti ani prima. Così deciderà di essere giudice, ma soltanto per raggiungere uno scopo che si annida nel passato di lui e del suo nemico.

domenica 26 ottobre 2014

Cristina Alziati

E' arrivata in biblioteca con un fare semplice, senza pose, attraverso la porta secondaria, ma subito è apparsa con la naturale familiarità di chi è abituato a stare in mezzo ai libri, ad usare ed amare libri e parole.
Così Cristina Alziati, venerdì scorso, alla Biblioteca “M. Braccagni”, per parlare del suo “Come non piangenti” (Marcos y Marcos 2011).
E si è seduta in mezzo a noi, senza microfono per parlare, ma la sua voce si è levata forte e chiara, nel silenzio della sala. Il silenzio che si fa davanti ai poeti veri.
Cristina Alziati ha parlato di 'res durae', del grumo di dolore inscritto nel nostro essere uomini e nel nostro corpo, ma anche della 'ferita' che pure la gioia sa aprirci. Lo ha fatto con una forza serena e pacata, con un coraggio che sembra venire da lontano, “come non piangenti” appunto. Ha raccontato la sua storia di poeta e di intellettuale, con i valori che ancora restano importanti.
In mezzo alla persistenza del dolore, che rimanda alla nostra fragilità di uomini, la perseveranza del pensiero. Lo sguardo sa andare lontano da sè, dal proprio dolore, che pure è irredimibile e non si può dimenticare, e sa incrociare quello degli altri, o meglio la barbarie, la tragica disumanità del nostro, e non soltanto, tempo, della storia. E' la tragedia delle ratonnades, delle stragi o mattanze cui la cronaca purtroppo ci abituato. “(...) una è la storia / che ci crepa”: uno spazio immenso di dolore si spalanca in questo verso, c'è un io-noi segnato nel corpo dal dolore nel tempo e nella storia, perchè “dentro quella, dentro / ciascuna ora del mondo senti / gemere il tempo del tempo che resta”.
Ma non c'è solo cupo dolore, nelle parole di Cristina Alziati, c'è l'apertura alla gioia e alla speranza: “e provo intero il dolore, so la gioia intatta”. La troviamo paradossalmente in un testo dedicato ad Etty Hillesum, una di quelle figure che sembrano destinate “per questa terra a camminare in volo”. Ma la troviamo, splendidamente luminosa, come un inaspettato miracolo, nei testi dove si ascoltano le voci della natura e degli alberi: “Sono rimasta in un piccolo / vento impigliata (...) / (...) La bellezza / degli alberi  è impressionante, / te lo dico ora così”. Dove la nostra voce si mescola, fino a confondersi, con quelle.
In un'altra raccolta, si scriveva: “dove è negata, o pare, la speranza / una sola ragione è resistere”. Cristina Alziati continua ad indignarsi e a questo modo resistere alle delusioni o ai mali della storia e questa è una piccola, preziosissima porta, tutta da difendere.   
“Come non piangenti” dunque è un libro che riesce ad entrare dentro e non ci abbandona, anzi ad ogni passo finisce per attirarci, suadente proprio nel suo linguaggio petroso, nelle sue pieghe più segrete e per non lasciarci andare.

Come accade con i libri davvero importanti.

Claudia Corti

domenica 19 ottobre 2014

La grandezza della bambina pugile

Chandra Livia Candiani è venuta in biblioteca a Colle per presentare il suo libro di poesie "La bambina pugile ovvero la precisione dell'amore", pubblicato nella bianca Einaudi.
L'umiltà di questa poeta  si percepisce da subito, fin dal suo ingresso  nella sala di lettura. Eppure da ospite timida, si schiude come un fiore appena può dire ad alta voce i suoi versi. Si alza in piedi e ci accompagna in un viaggio fatto di parole misurate, di silenzi, di visioni. La poesia di Chandra Livia Candiani  infatti si vede, è disegnata dalla sua voce che la dice. E' delicata e abbraccia il mondo tutto, come nella bellissima dedica iniziale di questo libro, dove niente e nessuno è lasciato fuori. Attraverso la poesia, che lei stessa definisce " non un genere letterario, ma una via, la meno fondamentalista che esista" ci mostra la sofferenza infantile, ma anche il ritorno ad essere bambini, perché "gli adulti sono bambini in situazioni d'emergenza".
E da qui si parte, dall'infanzia sconvolta, dalle perdite importanti, e da una nuova forza che nasce, quando " certe mattine / al risveglio c'è una bambina pugile / nello  specchio, i segni della lotta sotto gli occhi / e agli angoli della bocca, / la ferocia della ferita / nello sguardo. / Ha lottato tutta la notte / con la notte ".  Il combattimento della donna-bambina viene da lontano, dal suo vissuto, ma trova nuova forza anche da importanti mancanze, persone che non ci sono più, che la poeta ha  "lasciato andare". Rimane così il silenzio, che pervade questi versi, silenzio che Chandra conosce, riconosce e teneramente accarezza. E le carezze sono anche e soprattutto per i bambini ai quali insegna, e dai quali impara. Lei stessa li chiama i suoi "maestri-bambini", così aperti a disposti , tanto da capire a soli otto anni, che " la poesia è conoscenza e passione".
Il pubblico in biblioteca è rimasto entusiasta della bella serata trascorsa, e di questa poeta così minuta, ma anche così grande.

Il missionario moralizzatore

Nell'ultima riunione il gruppo lettura ha commentato e riflettuto su “Pioggia”, il libro di William Somerset Maugham (Adelphi, 2003). In particolare si è parlato del primo racconto, dal titolo omonimo.
Ambientato nelle isole Samoa, porta alla nostra attenzione la vicenda di un missionario bigotto e implacabile, impegnato a combattere con ogni mezzo quello che lui ritiene essere “il Male”.
Con la moglie si è impegnato a portare la “civilizzazione” tra gli indigeni, ma questo atteggiamento viene presto messo a nudo dall'autore, rivelandone i particolari più ipocriti.
A causa della pioggia incessante e crudele, il reverendo e la moglie si trovano a dover trascorrere alcuni giorni a Pago Pago, dove soggiornano anche il dott. Machpail con la moglie, e la signorina Thompson, donna dai facili costumi, che il missionario tenterà di riportare sulla retta via.
Proprio questo suo compito sarà sviscerato dall'autore, contrapponendo la rigidità di vedute e l'eccesso di moralismo alla debolezza della carne. Il peccato, da cui il reverendo vuol far scappare la donna, imprigionerà lui stesso, fino al tragico epilogo.
Il gruppo lettura ha commentato con sottile ironia le descrizioni minuziose di Maugham, e c'è stata una interessante discussione sul finale del racconto, in particolare chiedendosi se il missionario rimasto vittima della sua stessa rettitudine, si sia suicidato o sia stato ucciso. Alcuni lettori sono rimasti affascinati dalla scrittura particolareggiata, dalle descrizioni sottili e minuziose, dall'ironia cupa con cui l'autore porta alla nostra attenzione il contrasto tra l'ossessione per la rettitudine e la debolezza umana che non risparmia nessuno. 


lunedì 13 ottobre 2014

Mario Luzi, a cento anni dalla nascita






Questa felicità



Questa felicità promessa o data

m'è dolore, dolore senza causa
 
o la causa se esiste è questo brivido

che sommuove il molteplice nell'unico 

come il liquido scosso nella sfera 

di vetro che interpreta il fachiro. 

Eppure dico: salva anche per oggi.
.
Torno torno le fanno guerra cose 

e immagini su cui cala o si leva 

o la notte o la neve 

uniforme del ricordo.









venerdì 13 giugno 2014

NASCE, MUTA E SI COLORA…

NASCE, MUTA E SI COLORA…

Nasce, muta e si colora
Quell’ aureo scintillio di infiniti steli
Sotto gli ustionanti raggi dorati
Che scaldano l’animo nell’oblio della sera

Da picciol cosa diventa grande
Col dolce abbraccio di lagrimette celesti
E il soffio vitale del furioso Levante,
Mistico esorcista dei pensieri funesti;

E quando il verdeggiar è ormai vigoroso
E il frutto spigato diventa assai grande
La forza vitale rempaira nel cuore
Ed apre la strada a un viaggio più grande

Poi le caduche spighe s’ arrendon al fato
Ed il buon falciatore s’appresta e segare
Come noi disperati umani mortali
Vediamo svanire il nostro viaggiare

                                                                                     Nebitano Boniziano     

Tu, che di tante notti sei il lume…

  Tu, che di tante notti sei il lume…

Tu, che di tante notti sei il lume;
Tu, della vita paziente pittrice;
per poetar con il giusto zelo
dammi il verso, il suono e la parola
per scaldare l’eterno umano gelo.

Soverchia il velo dalla mente
e sciogli i miei tesi nervi
che non lascian la mia mano
crear gentili lemmi;

 e infine,ora che son pronto
 a scolpire il mio dolore,
dai vita a queste carte
e preparami all’amore.

                                                           Nebitano Boniziano     

COMMENTI FINALI ALLA NOSTRA ESPERIENZA


Alessandro B.: esperienza singolarmente stimolante; ho avuto l’opportunità di dare sfogo alla mia “vena artistica”. Forse è grazie a tutti questi libri!

Bernardo P.: molti si sopravvalutano come liberi pensatori.

Letizia F.: Il lavoro non è stato duro, ma divertente e fuori dal comune. Qui puoi trovare non solo libri e non solo silenzio ma anche tanta condivisione e cultura. La vera scoperta è stato scovare il binomio cinema- letteratura! Quanti segreti ancora sotto chiave e quanti libri ancora da sfogliare!

Simone C. : esperienza particolarmente interessante sotto tutti i punti di vista, educativa ed entusiasmante allo stesso momento. Simpaticissima la presenza della micia Medea!
Guglielmo I.: vivere quattro giorni in una biblioteca mi ha fornito una visione sicuramente più eclettica della vita. Non per incorrere in una eventuale “captatio benevolentiae”, ma questa idea della scuola-lavoro ci ha regalato molto in così poco tempo! Forza Medea.

Filippo P. : buono, nel complesso. L’esperienza è stata perlopiù positiva, per quello a cui doveva servire. Abbiamo avuto l’opportunità di farci un’idea di quello che può essere lavorare, ovviamente in un ambito che potesse esserci favorevole rispetto a grandi cose. Quindi direi una buona esperienza.

Alessandro G.: il mio rapporto con i libri è stato sempre un po’ traumatico, ma grazie alla fotografia, la mia vera passione, ho scoperto, ora, che questa “relazione” può avere un domani!.

I ragazzi della IV A del Liceo scientifico A. Volta di Colle di val d'Elsa


LE PIETRE DI MUNCASTER di Robert Westall


Il male nella sua forma più pura si nasconde proprio dietro un millenario volto di pietra. Due storie brevi e piene di suspence. Nella prima, un'intera comunità, quella di Cathedral Close si trova a che fare con il male che scaturisce dalle mura di una vecchia cattedrale, quella di Muncaster. Un arrampicatore deve eseguire un lavoro di ristrutturazione e si reca sul posto, ma fatti sinistri avvengono in quella zona. Un'entità maledetta che risideva nell'anima del capomastro Jacopo da Milano che compiva sì miracoli ma che in cambio doveva pagare un prezzo altro al lato oscuro, si manifesta in tutta la sua malvagità. Crolli improvvisi, individui posseduti, mettono a repentaglio la sicurezza degli abitanti della zona. Anche Kevin, il figlio dell'arrampicatore, subisce questo destino. Salvato in tempo, il protagonista decide di fare un'indagine su questa misteriosa cattedrale con la moglie Barbara e il Reverendo Morris, ma il segreto che scopriranno è terrificante.
BRANGWYN GARDENS nella seconda storia è protagonista uno studente di nome Harry Shaftoe. Negli anni cinquanta gli studenti non se la passavano poi male perché le borse di studio erano molto soddisfacenti: duecentocinquanta sterline l'anno. Egli però è taccagno perché ogni trimestre cambia alloggio per non pagare la cauzione. E così un giorno si ritrova nella dimora di Brangwyn Gardens, ma ben presto scoprirà che dietro l'apparenza tranquilla del luogo si nascondono sinistre presenze. All'inizio una musica che scaturisce dal nulla, poi il ritrovamento di un ordigno tedesco del 1940 sul tetto, e infine , l'incontro con una donna che cela un terribile segreto. Una storia mozzafiato che vi lascerà col fiato sospeso, dalla prima all'ultima riga.
(Diego Balestri)

venerdì 6 giugno 2014

I ragazzi del Liceo scientifico A. Volta di Colle di Val d'Elsa in Biblioteca per la settimana dell'alternanza scuola lavoro.

Nove e quindici, la biblioteca sembra ancora chiusa. Vedo un gatto. Un gatto? Ebbene si, a Colle il custode dei libri è una palla di pelo. Strano ma vero! Dopo pochi minuti aprono le porte e finalmente entriamo. Niente di nuovo, solito odore di libri e di caffè (santo caffè) che chissà quanti studenti ha salvato. Eppure qualcosa di particolare avvolge la piccola saletta di attesa, forse i sorrisi di noi ragazzi spaesati o delle gentili signorine che ci accolgono facendoci già sentire a nostro agio. I primi utenti sono un  paio di universitari con in mano pacchi di libri stropicciati di chi li ha sfogliati troppo. Ma la “presenza” più particolare è quella di un signore di circa settanta anni, che ci dicono venga ogni giorno per leggere un libro diverso, un libro nuovo. Oggi ci dice che sta leggendo un romanzo, non ci vuole dire il titolo informandoci semplicemente che lui è pensionato, che legge un romanzo, niente di più.
Il progetto scuola lavoro sembra iniziare bene, con un buon clima di positività! Quattro giorni in biblioteca, mettendo in ordine i libri, sistemando gli archivi.. insomma le classiche cose che uno si aspetta di fare in un luogo cosi “comune” ma molto suggestivo. L’idea di fondo di questo progetto è insegnare ad una ventina di ragazzi, dell’età di circa 18 anni a lavorare/interagire in un luogo pubblico. Ci dividiamo in gruppi di lavoro, ognuno con una propria mansione, a noi è “capitato” il blog della biblioteca. Ognuno sin dal primo momento sembra essere impegnato e determinato a portare a termine il compito assegnatogli. C’è chi riordina interi scaffali libri per bambini, sperando che non ne arrivi uno a rovinare il loro duro lavoro; qualcuno compila dei moduli, qualcuno legge...
Siamo solo al secondo giorno, ma ci stiamo già avvicinando ad un altro fondamentale obiettivo. Spesso si giudica la biblioteca un posto silenzioso, dove solo alcuni riescono a trovare la propria concentrazione, mentre molti preferiscono una caotica stanza con la tv accesa per studiare. Noi ragazzi in poco tempo stiamo riscoprendo l’antivo valore dei libri e della loro libera consultazione. Quale posto se non la biblioteca ci permette di rivivere cento vite diverse, quella di Giulio Cesare o di grandi scrittori come Tolstoj o Italo Svevo. Ci si può immedesimare in chiunque desideriamo e rivivere attraverso di essi la grande Rivoluzione Francese o se si preferisce qualcosa di meno pesante (de gustibus), la Gabbianella e il Gatto. Qui chiunque trova “pane per i suoi denti”, sempre  che vi è piaccia leggere!

Kdfslvndsl scusate ma il gatto cammina sulla tastiera, birichina Medea!
( I ragazzi della IV A Liceo scientifico  A. Volta di Colle di Val d' Elsa)

venerdì 16 maggio 2014

Romano Bilenchi nel Centenario della nascita - Atti dei Convegni di Milano e Colle di Val d'Elsa. Ottobre-novembre 2009 Fiesole : Cadmo, 2014

Dalle giornate di studio svoltesi a Milano e a Colle di Val d'Elsa nel 2009, grazie anche all'impegno dell' "Associazione degli amici di Romano Bilenchi", nascono questi Atti di convegno. La giornata milanese, in particolare, si è occupata delle attività editoriale e giornalistica dell'intellettuale, mentre l'indagine di Colle ha avuto come oggetto di studio la complessa opera dello scrittore. Gli Atti iniziano con due discorsi che raccontano i rapporti di Bilenchi con gli editori (interventi di Anna Longoni e di Piero Gelli). Lo studio di Paolo Maccari, si occupa, invece, di Bilenchi editore, la cui avventura è legata al “Nuovo corriere” di Firenze (essendo, lo scrittore, caporedattore, prima; direttore del quotidiano e fiancheggiatore del PCI, poi) e all'impresa portata avanti con Luzi. Si tratta del periodo della piena maturità. Si veda, su tali argomenti, anche l’intervento di Luca Lenzini, Bilenchi editore. Di Bilenchi giornalista parla anche Nello Ajello, definendo lo scrittore testimone e cronista dei drammi del secolo scorso. Infatti la personalità di Bilenchi è studiata, negli Atti, anche in merito al ruolo che essa ha svolto nelle intricate vicende storiche del secolo scorso. Si leggano, a tal proposito, i numerosi interventi sull'attività politica dell'intellettuale. Ulteriore argomento approfondito, ai fini di un'indagine completa su Bilenchi, è quello del sodalizio con un altro grande intellettuale: Mino Maccari. Del narrare bilenchiano e delle questioni stilistiche si sono occupati, nelle due giornate di studio, diversi intellettuali e letterati. In particolare, al rapporto tra scrittura letteraria e cronaca, si è dedicato Alberto Cadioli; allo studio dell' Estetica della natura narrativa di Romano Bilenchi, si è dedicato, invece, Marcello Ciccuto. Dell'ultimo romanzo (1972) si è occupato Enzo Golino, mentre Riccardo Castellana ha operato un'approfondita lettura di quello che è considerato il grande romanzo di Bilenchi: Il conservatorio di Santa Teresa. È opportuno menzionare, inoltre, l’attento studio di Niccolò Scaffai sul tessuto narrativo del trittico degli Anni impossibili (formato da La siccità, La miseria e Il gelo). Sono, poi, inclusi, negli Atti, due studi sul volume di racconti Anna e Bruno (1938): quello di Benedetta Centovalli (che prende in considerazione anche Conservatorio) e quello di Cecilia Demuru. Non mancano, poi, osservazioni di tipo tecnico, come quelle di Giuseppe Polimeni (Interstizi sintattico-ritmici nella prosa di Romano Bilenchi). Vediamo, dunque, come gli Atti esamino, in toto, la personalità e l'opera di Bilenchi.

Recensione a cura di Antonella Porciatti




LETTERATURA PER RAGAZZI

IL SOGNO DI ALBION - Norman Roger. Milano : Mondadori, 1997

Edward Yeoman è un giovane ragazzo come tanti che vive lontano da casa. Nella sua scuola incombe la figura predominante del preside Tyson, che con la sua prepotenza riesce a terrorizzare insegnanti e studenti. Un giorno, però, Edward trova proprio nella casa dello zio Jack un misterioso gioco da tavolo con delle carte chiamato "Il sogno di Albion". In una busta in fondo alla scatola c'era una lettera di suo padre che sconsigliava di giocarci, dopo avere raccontato la sua bizzarra storia. Il ragazzo, preso dalla curiosità, non resiste alla tentazione e comincia a praticarlo. Dopo un po' cominciano ad avvenire fatti misteriosi. Realtà e finzione si fondono in una diabolica spirale. Il ragazzo ben presto si rende conto che il gioco è in grado di condizionare la relatà circostante facendo in modo che i suoi personaggi si manifestino nel mondo reale. Il sogno di Albion altro non è che una sfida eterna fra il Bene ed il Male. I guai aumentano quando il preside Tyson viene a sapere del gioco e tenta con ogni mezzo di impadronirsene, aiutato da un sinistro personaggio chiamato Dottor Fell (Fell=Falce). Un'avvincente storia da brivido per tutti i ragazzi che hanno superato la soglia dei 12 anni.


Recensione a cura di Diego Balestri

sabato 29 marzo 2014

Candyman - Terrore dietro lo specchio

Una studentessa universitaria che sta scrivendo una tesi sui miti e leggende metropolitane scopre la leggenda del Candyman, un misterioso assassino armato di uncino, che in vita era stato il figlio di uno schiavo brutalmente torturato e ucciso, che si dice uscire fuori dagli specchi se il suo nome viene pronunciato cinque volte davanti ad uno. Convinta che sia l'idea di cui abbia bisogno, si reca in un quartiere popolare infestato dal crimine dove si racconta l'uomo venne assassinato, e presto verrà coinvolta in una serie di omicidi che la faranno sembrare colpevole agli occhi della polizia. Intenso e lugubre thriller che colpisce lo spettatore con idee e gore, invece che solo con gore come molti altri sottoprodotti del genere horror; intelligente la scelta delle locazioni e degli attori, specialmente Todd che dà vita ad un personaggio che più tardi si tenterà invano di portare alla notorietà di cattivi come Freddy o Jason con due seguiti decisamente scadenti. Film consigliato agli amanti del genere horror: chi non ama il genere tuttavia si tenga alla larga. Regia di Bernard Rose, con Virginia Madsen, Tony Todd, Xander Berkeley, Vanessa Williams -Cesare Busini