venerdì 17 aprile 2015

Il sapore della vendetta

Il gruppo lettura della biblioteca di Colle nell'ultimo incontro ha conversato sul libro "Tarantola" di Thierry Bouquet, edito da Einaudi, un noir avvincente che porta il lettore in una storia di violenza, vendetta, prigionìa. Buona parte del gruppo ha apprezzato la vicenda narrata, pur riconoscendone in alcuni tratti la crudezza, e un po' di lentezza nella parte iniziale. Altri di noi hanno rilevato come i temi trattati non siano originalissimi, e che sia già stato scritto tutto al riguardo. Il cambio di voce narrante tiene comunque il lettore interessato a proseguire. Incontriamo così Richard Lafargue, chirurgo estetico di chiara fama, e Eve, la donna che tiene chiusa nella sua villa, e che talvolta fa prostituire. Il legame tra i due ha una radice piuttosto sui generis, ovvero quella tra vittima e carceriere: un certo accudimento del chirurgo nei confronti  di Eve e l'incapacità di quest'ultima  - si capirà poi - di liberarsi da quella situazione, che è l'unica che conosce da ormai quattro anni. Questo strano rapporto tra i due non è altro che la vendetta perpetrata da Richard nei confronti di un giovane, colpevole di aver violentato sua figlia con l'aiuto di un amico. La ragazzina si trova da tempo  in un ospedale psichiatrico in seguito al trauma della vicenda, mentre uno dei due stupratori, Alex,  è ancora libero, perché non venne colto sul fatto da Richard. Questo ragazzo si troverà in seguito, per sua ingenuità,   proprio nelle mani  di Richard, che non saprà resistere ad un nuovo richiamo di vendetta. Eve, che scopriremo  legata in un modo particolare ad Alex, non sarà capace di fermare il chirurgo, responsabile della "trasformazione" radicale della donna, ma rappresentante anche dell'unico mondo che lei conosce e in cui deciderà di rimanere.

lunedì 23 febbraio 2015

L'amore per i libri nella Cina di Mao


Durante l'ultima riunione del gruppo lettura abbiamo parlato del libro "Balzac e la Piccola Sarta cinese" di Dai Sijie, edito da Adelphi. Tutti i membri del gruppo hanno apprezzato la storia dei due ragazzi in rieducazione sulle montagne durante la rivoluzione culturale in Cina. Quello che rende speciale la narrazione è non solo la tematica, elevata proprio dall'amore che i due giovani nutrono per i "libri proibiti" occidentali rinvenuti in una valigia nascosta, ma anche la leggerezza che accompagna il lettore fino al termine del libro. E poi c'è la Piccola Sarta, della quale  entrambi si innamorano, ma solo uno ne diverrà l'amante. Sarà lei a farsi trasformare maggiormente da quegli stessi libri non ammessi.  Questo la porterà a scoprire la bellezza, a maturare il desiderio di lasciare le montagne, e anche i due ragazzi. Il libro di Dai Sijie è sicuramente adatto ad un pubblico molto giovane, la scrittura è leggera e piacevole, anche grazie alle innumerevoli avventure affrontate dai protagonisti sulle montagne. L'autore scrisse questo libro nel 2000 in Francia, memore della rieducazione a cui lui stesso era stato sottoposto quando aveva diciassette anni. Riuscì a tornare in città dopo tre anni e mezzo, a causa di un problema alla vista."Balzac e la Piccola Sarta cinese" è stato tradotto in 26 lingue. Nel 2002 Sijie ne ha anche diretto l'adattamento cinematografico.

domenica 25 gennaio 2015

L'unico uomo rimasto

Il gruppo lettura della biblioteca comunale si è confrontato con l'ultimo libro scritto da Guido Morselli, dal titolo "Dissipatio H.G." edito da Adelphi. Si potrebbe definire un libro testamento di questo scrittore non compreso e non pubblicato mentre era in vita. Proprio lui, che maturerà l'idea del suicidio fino a realizzarla, affronta in questo libro il tema stesso dell'intenzione di togliersi la vita. Quando però il protagonista  sta per gettarsi in un laghetto all'interno di una grotta, cambia idea e si ritrae. Riflette sul fatto che non è riuscito a compiere quel gesto, perché se morire è un po' cambiare materia, lui non era pronto a farlo. Esce per tornare a quel mondo da cui si è sempre tenuto ai margini, e scopre ciò che dà il titolo al libro. H.G. sta per humani generis, e infatti lui è rimasto l'unico. L'intero genere umano è  dissipato, scomparso, evaporato. Resta soltanto quest'uomo che aveva intenzioni suicide, soltanto lui con gli animali e le innumerevoli tracce, gli oggetti, che gli uomini scomparsi nel nulla hanno lasciato. Decide così di tornare dalla montagna a Crisopoli, città  da cui si era volutamente allontanato, per cercare qualcuno. E' ancora incredulo davanti alla desertificazione umana, e così va convincendosi che in città, la città-Borsa, troverà ancora quelli che la popolano. Anche qui non c'è più nessuno, sembra anzi che abbiano avuto fretta di andarsene, tante sono le cose che hanno lasciato, e dalle quali si possono capire le ultime azioni compiute prima " dell'evento". E' così che Morselli chiama ciò che ha condotto l'intera umanità alla scomparsa, e su questo riflette. Potrebbe essere un segno se proprio lui, e non un altro, è stato prescelto per rimanere ad osservare il mondo senza l'uomo. Adesso quella solitudine tanto cercata c'è veramente, e si scontra con la rappresentazione della vita umana attraverso gli oggetti rimasti o le voci registrate che rispondono all'altro capo del telefono al posto dei vivi. La razza di bipedi se n'è andata, e forse il mondo non era mai stato così  "pulito, luccicante e allegro".
Attraverso riflessioni filosofiche Morselli continua a narrare il viaggio di questo superstite umano, il cui unico desiderio è forse di incontrare il suo psicologo, Karpinsky, con cui si sentiva particolarmente in sintonia. Sente che la solitudine è così grande da avere il disperato desiderio di una voce umana, di un consiglio, di un esorcismo. Essere rimasto l'unico è forse una punizione? In fin dei conti egli non è tanto diverso da coloro che sono scomparsi nel nulla, da coloro che hanno sfruttato il pianeta e causato guerre. In attesa del suo amico psicologo, che non potrà tornare perché già morto prima "dell'evento", il protagonista spera comunque nell'incontro, e tiene con sé un pacchetto di gauloises apposta per lui.

lunedì 22 dicembre 2014

Uscire dall'ordinario. Ad ogni costo.

Nel corso dell'ultima riunione del gruppo lettura abbiamo parlato de "La camera azzurra" di George Simenon , un libro che viene considerato un gioiello nella produzione letteraria dello scrittore belga di lingua francese. Tutti i membri del gruppo hanno apprezzato la capacità di raccontare con alternanza di piani temporali , e di mantenere la tensione narrativa dall'inizio alla fine della vicenda. Non un lavoro semplice quando si tratta di una storia ordinaria come una passione travolgente tra un uomo e una donna, entrambi sposati. Tony e Andrée, persone dalla vita ordinaria, travolti dal loro stesso adulterio. Simenon  è maestro nel trasformare una storia così normale in qualcosa di inquietante e diabolico. Fa dei suoi personaggi degli sprovveduti, che pur di uscire dalla loro esistenza piatta, scelgono coscientemente di andare verso la rovina con le loro azioni. Proprio Tony, che vive con indifferenza e un po' di senso di colpa questo suo tradimento, sceglie comunque di andare avanti, di tessere la tela di una storia con Andrée, una donna che lo ha scelto fin dai tempi della scuola. Questo costerà all'uomo la discesa verso la rovina, e in particolare pagherà la sua ingenuità, il fatto di non aver dato peso alle parole della sua amante. Ma come spesso accade nei romanzi di Simenon, la vicenda è ordinaria, è una storia come tante, e poi invece lo scrittore ci apre una finestra sulla psicologia dei suoi personaggi. Uomini e donne che hanno non solo la voglia, ma la necessità di uscire dalla loro esistenza ordinaria. E lo fanno consapevolmente, inseguendo strade che li porteranno irrimediabilmente verso il disastro. Per questo motivo possiamo dire che Simenon porta la dimensione della tragedia ad abbassarsi alla piccola borghesia, alla realtà circoscritta della provincia, dove si trovano abitanti che potrebbero fare un passo indietro, ma scelgono di fare il salto e abbandonare lo scorrere ordinario del vivere. "La camera azzurra" è trasposizione letteraria della vita di Simenon, formidabile amatore che si vantava di aver avuto diecimila donne. Queste ultime saranno molto  spesso protagoniste nei suoi romanzi, talvolta avendo connotazioni diaboliche, proprio come Andrée. D'altronde il desiderio di Simenon era di indagare e avvicinare l'universo femminile (e in ciò era aiutato dalle sue innumerevoli relazioni amorose), ma anche l'animo umano tutto, per capire fin dove ci si può spingere per trasformarsi da piccoli in " grandi uomini".

venerdì 28 novembre 2014

L'amore bugiardo di Gillian Flynn



Probabilmente non conoscete “L’amore bugiardo”. E non lo conoscevo neanch’io finchè non ho visto il libro abbandonato sul divano da mia madre. Ed è stato uno dei libri che più mi hanno entusiasmato.
La storia può sembrare banale, il finale scontato, ma nessuno può immaginare la profonda e contorta psicologia che la Flynn attribuisce ai due personaggi principali, Nick e Amy, due scrittori di riviste, ormai senza lavoro, soppiantati dai computer, costretti a spostarsi dalla caotica New York in Missouri a causa dei problemi finanziari e della malattia della madre di lui. La vita aveva preso ormai una piega inaspettata e lontana da quella da loro sognata, il matrimonio aveva perso la scintilla che tempo prima li aveva uniti in una gelida notte a New York, finchè Nick, tornato dal bar in cui lavorava insieme alla sorella Go, non scopre la porta spalancata di casa sua e il salotto devastato, senza più alcuna traccia della moglie, sparita. Iniziano subito indagini e veglie, telefonate e apparizioni in programmi tv, mentre Nick versa in una situazione sempre più pericolosa e complicata, soprattutto dopo che vengono trovate tracce di una pozza di sangue in cucina, accuratamente pulita.
La vicenda è raccontata attraverso due diversi punti di vista, il diario di Amy, che dipinge i contrasti più feroci con Nick e le sue mancanze, i difetti che le aveva nascosto, la sua indifferenza verso di lei, e Nick stesso, che descrive i passaggi e gli sforzi compiuti per la ricerca di Amy.
Passo dopo passo, dubbio dopo dubbio, i sospetti ricadono sempre più su Nick, ma egli riesce improvvisamente a comprendere e a ritrovare, grazie ad una caccia al tesoro che Amy aveva preparato (e che da sempre preparava) per il loro anniversario, il vero carattere della moglie e il suo complesso e determinato ingegno.
E tutto gli fa pensare che Amy non sia morta né scomparsa. E tutto gli fa pensare che voglia vendicarsi su di lui, nel peggior modo possibile.

Bianca Maria Lapi    

Una questione privata di Beppe Fenoglio



Il romanzo si incentra sulla vicenda del partigiano Milton e della sua ricerca di Giorgio, suo commilitone e amico, nella zona di Alba (nelle Langhe), raccontata in prima persona con frequenti digressioni riguardanti i suoi ricordi o le sue impressioni.
Dopo aver scoperto una relazione tra Fulvia, una ragazza facoltosa di cui il protagonista si era innamorato, e Giorgio, Milton decide di partire alla ricerca di quest’ultimo al fine di chiedere chiarimenti sul fatto. I suoi spostamenti sono un pretesto per l’autore per descrivere varie situazioni legate al momento storico.
Nonostante l’importanza di quest’opera in quanto fra quelle fondatrici della letteratura della Resistenza, il suo valore effettivo è giudicabile decisamente inferiore, specialmente se messa a confronto con altri testi, meglio realizzati, sullo stesso argomento.
L’intero racconto tende a focalizzarsi eccessivamente su dettagli tendenzialmente insignificanti per la trama, caratteristica che penalizza le parti narrative facendo diminuire l’interesse e l’attenzione del lettore, il quale vede trasformate in delusione tutte le sue aspettative circa il finale, finale che è impropriamente chiamato così dal momento che è ambiguo e difficile da interpretarsi.

Marta Lo Faso e Edoardo Cipriani 


lunedì 24 novembre 2014

Ricordo di Romano Bilenchi

Romano Bilenchi moriva a Firenze il 18 novembre 1989, 25 anni fa appunto.
Da tempo ormai – non saprei dire da quanto – non tornava a Colle Val d'Elsa nè usciva, per la malattia, dalla sua casa, in via Brunetto Latini. Gli amici che lo andavano a trovare, per un saluto, una discussione o il piacere di stargli accanto, lo trovavano immancabilmente seduto in salotto, su un divano verde, circondato quasi con amore dai libri e dalle opere dei suoi amici pittori.
Il salotto era il suo microuniverso, riproduceva i segni di amicizie, affetti, relazioni forti e autentiche. Riproduceva materialmente un mondo lontano, capace di perdurare solo nella memoria.
Sul tavolino davanti a lui, altri libri, ma immancabilmente un portacenere stracolmo di mozziconi, e scatole di medicinali e le sigarette, che accendeva di continuo, con le dita ormai macchiate dal giallo della nicotina.
Bilenchi accoglieva nella sua casa amici, conoscenti, giovani, letterati e intellettuali, mostrando a tutti, senza distinzioni di sorta, senza spocchia o presunzione, la sua inesauribile disponibilità al dialogo. La sua gentilezza aveva il sapore semplice e antico di altri tempi.
Tra una sigaretta e l'altra, accendeva il televisore, azionava il telecomando spostandosi incessantemente da un canale all'altro, con un fare in apparenza distratto e svagato, che poteva anche mettere in imbarazzo; eppure, malgrado questo, sapeva  seguire con vivacità le pieghe della conversazione, anzi la orientava senza parere con osservazioni schiette e fulminee, con il racconto di episodi della sua vita, con un gusto sapiente nel tratteggiare e colorire personaggi e situazioni. E così lasciava senza parole chi gli stava accanto.
Bilenchi appariva, ma meglio dire era, un uomo profondamente buono e generoso con tutti, che non negava la sua disponibilità o la sua attenzione. Era anzi un uomo che regalava, quasi con noncuranza, testimonianze, uno spaccato sulla vita e le relazioni, insomma su un mondo, la Firenze degli anni '30 e oltre, lontano, che non esisteva più, nè nei suoi protagonisti, nè nello spirito, se non nella sua memoria.
Parlando e raccontando, tra una sigaretta e l'altra, Bilenchi ritornava sul passato, sul suo passato, con le luci e le ombre; con le parole non faceva che 'riscriverlo' e 'scavarlo', portando in superficie trame, sfumature, tracce sempre nuove e diverse.
Le sue sono parole – si è detto – che risuonano ossessivamente ripetitive, come in un bolero, ma, si sa, “le parole sono come pietre da tirare in uno specchio d'acqua per provocare cerchi concentrici sempre più ampi”: così diceva Bilenchi in una intervista del 1983.
Il gioco umile dei bambini di un tempo diventa così l'immagine viva e gioiosa per descrivere, per rappresentare quello, ben più complesso, intricato e difficile, da grandi, della scrittura.
Sarà banale, ma Bilenchi non poteva con altre parole descrivere meglio il lavorio di una vita, il fuoco che animava da sempre la sua scrittura e che ce la rende così particolare, così unica, ma anche così vicina.      
La scrittura di Romano Bilenchi torna ossessivamente ad esplorare il mondo lontano dell'infanzia, quella zona d'ombra che tutti attraversiamo, in cui l'essere è indefinito o in cerca di una sua identità; una zona dove le ferite, anche quelle occasionali, si incistano e rimangono indelebili, quasi marchi a fuoco nella carne. Ma anche dove le speranze e i sogni hanno la forza e la fissità luminosa  dell'indicibile.
Restiamo 'intrappolati', ma anche sedotti e affascinati, come gli innumerevoli personaggi, in un tempo che si ripete, che non porta mai a passare la soglia, visto che Bilenchi non fa che dilatare e sviluppare, con le sue parole, pulsioni, desideri, paure e dolori restando sempre al di qua. Noi come loro, in fondo.

Rileggere Bilenchi significa sempre compiere un esercizio di scavo nelle ferite e nell'ombra che stanno anche dentro di noi, senza la prospettiva di trovare facili consolazioni o soluzioni di comodo; anzi proprio quel leggero, inquietante, urticante disagio che proviamo e che ci rimane addosso è il segno della grandezza, è la forza autentica dell'opera letteraria. Quella che ce la fa amare incondizionatamente. 

Claudia Corti