lunedì 27 maggio 2013

MARTEDI' 4 GIUGNO ALLA BIBLIOTECA MARCELLO BRACCAGNI DI COLLE DI VAL D'ELSA.

DIMITRI CHIMENTI E VANNI SANTONI CONVERSANDO CON CLAUDIA CORTI PRESENTANO E COMMENTANO:
SIC Scrittura Industriale Collettiva "In territorio nemico"

Un ufficiale che diserta e intraprende un viaggio attraverso l’Italia devastata dalla guerra.   Una ragazza di buona famiglia che diventa una partigiana pronta a uccidere un fascista dopo l’altro. Un ingegnere aeronautico che si nasconde in attesa che passi la bufera. Matteo, sua sorella Adele, il cognato Aldo: sono i personaggi di In territorio nemico, tre giovani separati dalla guerra che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, cercano di ritrovarsi in un paese in preda al caos. Nei venti mesi terribili dell’occupazione nazista, i tre protagonisti faranno esperienza della battaglia, dell’isolamento, dell’amore, del conflitto con se stessi, fino ad affrontare la prova più difficile: scegliere da che parte stare mentre la morte li minaccia a ogni passo. In territorio nemico è una nuova epica della Resistenza. Un’epopea corale resa possibile dal lavoro di oltre cento scrittori e ispirata alle testimonianze di chi la guerra l’ha vissuta e non ha cessato di raccontarla. Un romanzo vivo e toccante che, tenendo ben presente l’eredità di Fenoglio, Malaparte e Calvino, apre una rinnovata prospettiva sull’esperienza tragica e fondativa della seconda guerra mondiale italiana.

Incipit
Le campagne del Basso Lodigiano, fra Codogno e il Po, ancora
nel settembre 1943 non mostravano segni di guerra. Di
notte, la pianura era nascosta alle incursioni aeree dalla coltre
del coprifuoco; allo spuntare del sole il paesaggio si rivelava
altrettanto monotono, ma del giallo vivace del riso maturo.
Ogni cinque, dieci chilometri, sorgeva una cascina,
spesso abbandonata. La cascina Giavazzi era di queste: una
strada di accesso ormai impraticabile, orlata nell’ultimo tratto
da due file di faggi, si spegneva nell’enorme cortile, un cimitero
di attrezzi arrugginiti, circondato da fabbricati a pianta
rettangolare, con la casa padronale che spiccava sul lato
orientale per l’altezza e il lungo porticato. Unico segno di vita,
una gallina che razzolava intorno a un tegame. A destra
dell’ingresso principale, attraverso una finestra aperta a metà
portico, si poteva scorgere una cucina; dentro, una donna
con i capelli grigi legati a crocchia reggeva una tazza sbecca
ta e ascoltava un uomo alto e piuttosto giovane, naso aquilino
e capelli scuri:
«Mi duole essere costretto a gravare su di te».
«Non ti devi preoccupare Aldo, quando la guerra sarà finita
ti rifarai».
«Senz’altro, mamma. Anche con Adele. Tutto questo è soprattutto
per il suo bene. È pronto l’uovo?»
Sua madre gli porse la tazza. Lo guardò sedersi e mangiare.
Quando ebbe finito, disse:
«Ti vuol bene».
«Anch’io gliene voglio. È la miglior moglie», rispose Aldo,
poi si alzò. «Che tempo fa? Umido? Devo fare la mia passeggiata
igienica».
Uscì dalla porta sul retro, che dava sul patio e sull’orto incolto.
Puntò lo sguardo verso est, dove il sole liberava i campi
dagli ultimi residui di foschia. Estrasse un orologio dal
panciotto, controllò l’ora, voltò le spalle alla luce e si avviò
verso il fossatello tortuoso che era rimasto l’unica via praticabile
verso il paese. La mattina presto era il momento più sicuro.
Anche l’imbrunire andava bene, ma una volta era stato
sorpreso dall’oscurità in mezzo alle risaie e aveva rischiato di
smarrirsi.
Ammirò i campi. Apprezzava la solitudine creata dalla
guerra. Erano già due mesi che era tornato in campagna e si
sentiva sempre meglio. L’unica ombra era il pensiero di Milano
e di quanto vi aveva lasciato. Ma aveva forse avuto scelta?
Oltrepassò un tratto di sterpaglie e giunse a un albero
marcio ai cui piedi sapeva esserci un formicaio. Si accovacciò
e rimase come sempre affascinato:
«A ognuno il suo compito», disse fra sé; si rialzò solo quando
si accorse che le gambe gli si erano addormentate.

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