domenica 26 ottobre 2014

Cristina Alziati

E' arrivata in biblioteca con un fare semplice, senza pose, attraverso la porta secondaria, ma subito è apparsa con la naturale familiarità di chi è abituato a stare in mezzo ai libri, ad usare ed amare libri e parole.
Così Cristina Alziati, venerdì scorso, alla Biblioteca “M. Braccagni”, per parlare del suo “Come non piangenti” (Marcos y Marcos 2011).
E si è seduta in mezzo a noi, senza microfono per parlare, ma la sua voce si è levata forte e chiara, nel silenzio della sala. Il silenzio che si fa davanti ai poeti veri.
Cristina Alziati ha parlato di 'res durae', del grumo di dolore inscritto nel nostro essere uomini e nel nostro corpo, ma anche della 'ferita' che pure la gioia sa aprirci. Lo ha fatto con una forza serena e pacata, con un coraggio che sembra venire da lontano, “come non piangenti” appunto. Ha raccontato la sua storia di poeta e di intellettuale, con i valori che ancora restano importanti.
In mezzo alla persistenza del dolore, che rimanda alla nostra fragilità di uomini, la perseveranza del pensiero. Lo sguardo sa andare lontano da sè, dal proprio dolore, che pure è irredimibile e non si può dimenticare, e sa incrociare quello degli altri, o meglio la barbarie, la tragica disumanità del nostro, e non soltanto, tempo, della storia. E' la tragedia delle ratonnades, delle stragi o mattanze cui la cronaca purtroppo ci abituato. “(...) una è la storia / che ci crepa”: uno spazio immenso di dolore si spalanca in questo verso, c'è un io-noi segnato nel corpo dal dolore nel tempo e nella storia, perchè “dentro quella, dentro / ciascuna ora del mondo senti / gemere il tempo del tempo che resta”.
Ma non c'è solo cupo dolore, nelle parole di Cristina Alziati, c'è l'apertura alla gioia e alla speranza: “e provo intero il dolore, so la gioia intatta”. La troviamo paradossalmente in un testo dedicato ad Etty Hillesum, una di quelle figure che sembrano destinate “per questa terra a camminare in volo”. Ma la troviamo, splendidamente luminosa, come un inaspettato miracolo, nei testi dove si ascoltano le voci della natura e degli alberi: “Sono rimasta in un piccolo / vento impigliata (...) / (...) La bellezza / degli alberi  è impressionante, / te lo dico ora così”. Dove la nostra voce si mescola, fino a confondersi, con quelle.
In un'altra raccolta, si scriveva: “dove è negata, o pare, la speranza / una sola ragione è resistere”. Cristina Alziati continua ad indignarsi e a questo modo resistere alle delusioni o ai mali della storia e questa è una piccola, preziosissima porta, tutta da difendere.   
“Come non piangenti” dunque è un libro che riesce ad entrare dentro e non ci abbandona, anzi ad ogni passo finisce per attirarci, suadente proprio nel suo linguaggio petroso, nelle sue pieghe più segrete e per non lasciarci andare.

Come accade con i libri davvero importanti.

Claudia Corti

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